Un breve racconto per lasciarsi trasportare e interrogare…

Multistrato. Sicuro. Brillante. Garantito.
“Guardi che macchina! Tutti i confort! E che sicurezza! Otto airbag, cinture pretensionate, abs, edb, asr, eds e poi... voilà… parabrezza multistrato!”
Un venditore entusiasta. Un professionista dell’entusiasmo. Mi convince.
Esco dalla concessionaria con il parabrezza che è una bellezza. Pulito da non vederlo, neppure una macchiolina, uno schizzetto, trasparente, lucente, anti UV, come al cinema, non perdo un dettaglio, swish swish swish, strade autostrade incroci cavalcavia semafori, swish swish swish, un paesaggio dietro l’altro. Magia del multistrato!
Mi protegge, un supereroe windscreen, senza macchia e senza difetto. Mi sono affezionato subito, questione d’istinto. So che l’abitacolo è il mio nuovo mondo. Quello là fuori è solo illusione, un film, un reality.
Qualunque cosa sia, non mi appartiene. La macchina invece è mia, MIA!
Senza parabrezza sarebbe solo una prigione. Ma lui c’è, amico affidabile multistrato. Parabrezza, parabrezza delle mie brame, dimmi: sono il più fico del reame?
Dopo cinque minuti dalla concessionaria si è spiaccicato un moscerino. Poteva finirmi in un occhio invece è una polpettina con zampette svolazzanti sul MIO parabrezza.
Spruzzino, tergicristallo, sparito. Ma restano le goccioline. Sono deluso. Maledettamente deluso! Mi ha tolto la verginità, quello stupido insetto. Prima era tutto una meraviglia illibata. Ora le goccioline asciugano e rimane l’alone.
I minuti diventano ore, le ore giorni, i giorni settimane, mesi. Un anno. Un altro. Prima revisione.

Dopo un po’ non fai più caso ai moscerini. Neppure agli aloni. Il tuo supereroe windscreen non molla, resiste, ti difende dal fuori, si consuma per te, invecchia, raggrinzisce di segni e scalfitture impercettibili.
Quando di notte s’illumina di riflessi d’abbaglianti – ma perché non li abbassano? – talvolta mi prende un pensiero strano. Che il mio parabrezza sia come il ritratto di Dorian Gray?
Io vivo e lui invecchia. Si carica addosso tutto ciò che vede e sente di me. Io guido e neanche immagino quale razza di rapporto simbiotico si intrecci con questo nido d’acciaio. Ma senza il parabrezza sarei cieco.
Lui è la mia retina, sensibile come una vecchia pellicola di sali d’argento. Non mi serve ricordare i posti dove sono stato, le fotografie le custodisce nei suoi multistrati. È la mia memoria, come l’avessi stampata nei miei neuroni. Viviamo all’unisono, strada dopo strada. Se avesse voce, sapresti che racconti!
Perché l’auto è un teatro, dove vado in scena, ogni santo giorno. Piango, rido, mi incazzo, sbircio tette, mi scaccolo, bestemmio, urlo al cellulare, canto, odio, rubo sesso a pagamento e amore gratis, professo le mie grandezze, mi scopro misero. È qui, tra queste quattro lamiere, davanti all’occhio del parabrezza, che rivelo la mia vera anima. E solo a lui è dato il privilegio di guardarla nel profondo.
Nei suoi multistrati c’è più della tua vita di quanta te ne resti. Neppure immagino ciò che lui sa di me.

Un giorno ho avuto un’illuminazione. Ho capito che c’è un punto di non ritorno. Dopo un certo numero di chilometri, il parabrezza ha assunto le mie sembianze. O forse io assumo le sue. Un occhio fisso che sta tra me e il fuori. È una parte di me. Necessaria.
È luminoso quando la mia anima splende. Opaco quando ho pensieri oscuri. Come quella notte. Notte di maledetti abbaglianti sparati in faccia e di anima nera.
Dov’è finito il mio supereroe windscreen?
Guardavo avanti ed era come fissare un pozzo nero. Tra me e la notte non c’era più nulla. Sì, ero nudo. Indifeso.
Il multistrato svanito, la macchina svanita, niente rumore di pistoni, niente abs eds e tutti quei diavoli di acronimi. Niente di niente…
Solo un lampo improvviso e lo stridore che squarcia tutto quel vuoto.
Windscreen crash. Assoluto. Perfetto.
Il mio parabrezza è ricomparso istantaneo. Una ragnatela di fili lucenti e io ero il suo ragno, aggrappato a quell’ultima luce.
Fino a che il buio non mi ha preso e non mi ha più lasciato.
Il racconto “Windscreen crash” che è stato messo in scena dalla compagnia “Imprevisti” di Pordenone nell’ambito della mostra-performance “Glass-landscapes” di Alessandro Cadamuro nel 2009 a Paese (TV)
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